Lettera di un amico

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Lettera di un amicoParlerò di terremoto perché un trauma si supera parlandone e si fa superare agli altri parlandone. Ma non sarà breve, è una storia ed un post lungo, quindi se non hai tempo per leggere e capire, fatte un selfi e passa oltre, ma se ti interessa capire cosa prova ogni persona rimasta viva da quell’inferno allora leggi.
La storia nasce 118 anni fa, da un paesino in cima ad una montagna, La Spelonca, frazione di Arquata del Tronto, dalla famiglia detta “ Li Cicc Marì”. Un giovanotto cresce in un ambiente difficile, è un bell’uomo, alto, slanciato, ha una forza incredibile ed insieme al suo fratello impara l’arte della lavorazione delle pietre, il taglio dalla montagna per farne blocchi, impara il lavoro di muratore, è bravo, diventa un Mastro, poi un Capomastro! 1918, la grande guerra, i ragazzi del ’99 vengono richiamati, anche lui, Arma dei Carabinieri, si guadagna il grado di Maresciallo, il Cavalierato ed una medaglia. Torna provato, ricomincia a vivere e lavorare, si innamora di una ragazza piccolina, paffutella, che abita nella frazione di fronte alla sua montagna, Vezzano.

La vuole sua per sempre, se ne innamora e “va in casa”, si trasferirà nel suo nuovo paese. Costruisce con il fratello la sua casa, incide con le sue mani il capostipite sulla porta FS 1927, si sposa ed inizia la sua vita. Sono tempi duri, ma lui sa come farsi volere bene, la sua disponibilità e la sua bontà, oltre alla simpatia, sono un biglietto da visita. Nascono sei figli, ma solo quattro riusciranno a crescere, continua a lavorare, ma in quei tempi ha solo un difetto, è socialista e per il nuovo movimento fascista non va bene… Ma non si piega e forte delle sue idee e della sua cocciutaggine non si piega. Ma nonostante tutto va avanti, è rispettato perché è bravo e sa fare il suo mestiere e poi come fai a non volere bene ad uno così? Eppure fa paura con quei baffoni, con il suo fare ruvido, ma non ha paura di nulla; ha una forza sovrumana, abbraccia pietre e lo sposta da solo quando altri necessitano di aiuto, apre portoni bloccati a spallate, ama il vino, ma non è mai violento… E’ fatto così e si merita il soprannome di “TERREMOTO”. Lo conoscono tutti, da Accumoli fino ad Ascoli Piceno, per la sua bravura, bontà, ma non lo fate arrabbiare, non toccate la sua famiglia, altrimenti scatena tutta la sua potenza.

Seconda guerra mondiale, l’armistizio ed il ritorno a casa dato come ordine dal suo tenente, la persecuzione della famiglia da parte di fascisti e nazisti per avere lui, per far cedere un simbolo, ma non riescono, anzi un giorno TERREMOTO si presenta in municipio, rivolta scrivanie ed ufficio al potestà e lo lancia dalle scale!

Finisce la guerra. È dura, poi la ricostruzione, le cose vanno bene, è uno specialista nel taglio delle pietre e nella lavorazione di muri e ponti. Uno dei figli, CIALINO, il più ribelle e scapestrato a vederlo da fuori, lavora sodo, lavora con lui, finalmente si respira, un piccolo sogno, l’impresa familiare… Un figlio sacerdote, un orgoglio, la sua unica figlia sposa, il più piccolo a studiare in collegio a Bologna… Poi un appalto in cui viene truffato lui e buona parte delle ditte dei vari paesi, una crisi economica drammatica, che coinvolge lui e la sua famiglia, i debiti e gli interessi da pagare. La sua spalla, CIALINO, si ammala gravemente lavorando in galleria, non potrà più aiutarlo nei lavori pesanti, lui non demorde, ma il tempo e la vecchiaia chiedono il conto. Cialino parte per Roma in cerca di lavoro e fortuna, incontra una ragazza di cui si innamora, la perde di vista per 1 anno e poi finalmente la rivede. E’ un colpo di fulmine, si sposano subito e nasce il primo nipote, è un maschietto, la tradizione vuole che porti il nome del capostipite! Sua mamma non è entusiasta, ha un nome strano, ma alla fine accetta il proseguimento delle tradizioni…
Un giorno di marzo, Terremoto ormai vecchio e vedovo, lascia per sempre la sua casa e la sua famiglia, ma non il suo imprinting e la sua anima. Il nipote, quando esce il feretro dal portone di casa, vede per la prima volta la neve, che cade leggera; è il regalo di suo nonno. Prende la mano forte e nodosa del suo papà ed esce con lui…

Passano gli anni, e quel giovanotto scapestrato, dopo una vita dura fatta di lavoro senza svaghi, riesce a comprare la casa di famiglia, sicuro di poter contare sull’aiuto di suo figlio, VULCANO, ormai grande. Non vuole farla quella casa sua, ma LORO, cioè per lui e la sua famiglia, per il suo unico figlio e per i suoi nipoti che verranno, che porteranno il cognome di famiglia. Ma non ha i soldi per aggiustarla, ma fa nulla, è loro la storia di famiglia, le radici; ricorda spesso a suo figlio una frase di un vecchio paesano che raccontava davanti al fuoco “quanto è brutto passare davanti alla casa di famiglia e vedere un altro che si affaccia che non è di famiglia, uno di noi!”. Suo padre gli raccomandava “e quando finisci i soldi, venditi tutto, pure le mutande, solo poi, ma se devi proprio, la casa e poi la terra!” e lo stesso ripete Cialino a Vulcano.
Poi diventa nonno, sogna di vedere la sua nipote, che ha il suo stesso nome, giocare nell’aia di casa, come aveva fatto lui e poi suo figlio. Ma la vita si sa, a qualcuno da tanto ed ad altri poco, e non riesce nel suo sogno, nonostante i progetti fatti litigando furiosamente con il figlio tra il mantenere la struttura così ed ammodernare la pianta, entrambi consapevoli e desiderosi di voler riportare al massimo splendore quella che i Vezzanesi dicono sia la casa più bella e solida di Vezzano!
Muore prima di veder realizzato il suo sogno, suo figlio sa che ora è solo e deve contare sulle sue forze per continuare la tradizione, per rinvigorire quella pianta dalle redici solide, le radici della sua famiglia, ma il sogno deve attendere a lungo, anche per lui le cose sono cambiate…
24 agosto 2016, in un paese vicino, dopo una serata allegra in famiglia, tutti i componenti della famiglia sono a nanna.

Alle 3 e 36 si presenta il terremoto, ma non il nonno in sogno, una bestia tonante, famelica che mostra tutta la sua potenza e la sua incontenibile forza. Il letto salta, trema, le urla della moglie, il silenzio agghiacciante della figlia al piano di sopra, Vulcano appare freddo, lucido, accende la luce nel suono orribile che genera la bestia, sa che non può dominarla, può solo apparire freddo e tranquillo per calmare la sua famiglia, mentre nella sua mente elabora un piano di fuga sicuro e cerca di celare il terrore. Chiede aiuto a suo Padre, chiede aiuto a suo Nonno, chiede aiuto alla Madonna di Macereto mentre quel mostro sembra stazionare sotto il suo letto, poi finalmente tutto finisce. Un silenzio assurdo, irreale lo circonda; la moglie è paralizzata dalla paura, lui la guarda tranquillo, si alza, controlla le strutture portanti di casa e la via di fuga, apre la porta e tranquillo chiede alla figlia se è tutto ok. Siamo salvi, non è successo nulla, escono veloci e, dopo essersi assicurato che va tutto bene corre a vedere se nel paese c’è bisogno di aiuto. Passano i minuti, qualche piccolo aiuto a chi ha bisogno e poi di nuovo ad abbracciare sua figlia ancora tremante dall’incontro con quel mostro. Sa che è successo qualcosa di grave, ma non sa dove; quella zona del maceratese già martoriata è la più probabile, guarda in TV e scopre che Accumoli, a pochi chilometri da Arquata, è l’epicentro. Pensa a sua zia, che abita lì, chiama nessuno risponde, panico, poi finalmente una voce spaventata che esce dal telefono “siamo in macchina, stiamo bene, qui è un macello, case crollate, stai tranquillo stiamo tutti bene”. La mente scorre allora alle persone che conosci, agli amici del suo papà, scorre l’agenda, non ricordo quel nome, o quell’altro, guarda, li trova, chiama… Chi squilla libero ma non risponde, chi non è raggiungibile… poi finalmente riesce a contattare le persone, sono spaventate ma dicono che lì è a posto, solo pochi calcinacci e cornicioni a terra, è buio, la sua casa c’è o almeno ci dovrebbe essere, si vede il tetto e la facciata, ma non si vede il resto.

24 agosto 2016, ore 6, albeggia, la situazione appare nella sua mostruosità il terremoto svela al mondo il suo lavoro, il drago furioso ha sventrato paesi interi e divorato la vita di bambini, donne e uomini; non fa sconti, non guarda in faccia a nessuno, vecchi, giovani, bravi, cattivi, ragazzi… ruba tutto!
Ruba le vite, la cosa più importante, ma ruba anche la storia, i ricordi e tutto quello che le Famiglie del posto hanno costruito strappandolo alla vita, lavorando in miniera, lavorando la terra, allevando animali, emigrando verso terre lontane per decenni… in 142 secondi tutto questo non c’è più…
Non ci saranno più case di Famiglia in cui si ha la certezza di avere almeno un luogo sicuro dove trascorrere le vacanze o dove andare, non ci saranno più nonni che racconteranno in quelle case le storie di famiglia ai nipoti, che poi diventeranno nonni e le racconteranno ai loro pronipoti. Non ci saranno più oasi felici dove lasciare le chiavi sulla porta di casa perché tanto “non tocca nulla nessuno”, non ci saranno più nonni ad attendere i giorni di festa per vedere i nipoti, non ci saranno più nipoti ansiosi di prendersi le coccole dei nonni, figli desiderosi di abbracciare madri e padri, padri e madri desiderosi di vedere il frutto della loro vita, la FAMIGLIA!

Qualcuno dirà “ma dov’è DIO?” Non so, io credo sia anche lì, in quel mostro, che chiedendo un tributo altissimo ci sbatte in faccia la dura realtà, noi miseri esseri non possiamo controllare le forze della Natura, non possiamo dominarle, dobbiamo rispettarle e fare in modo che siano sempre amiche.

Io ho solo poche certezze: la prima, al posto di paesi fatti di case basse di pietra dall’odore di fumo , ci sono cumuli di macerie che mostrano i resti delle storie di ogni abitante e dei suoi ricordi, della storia di ognuno di loro. Ogni mobile, ogni oggetto, dal più stupido al più prezioso, è strappato alle generazioni future che perderanno la memoria, determinando la fine della loro storia della loro famiglia e del paese stesso; la seconda, ogni anziano che ha avuto la disgrazia di sopravvivere ad un evento simile, finirà i suoi giorni lontano dalla sua terra e dalla sua casa nella quale ha sognato di morire sereno. Per i più sfortunati, che rimarranno ancora qualche anno in vita, avranno la certezza di non vedere la loro casa ricostruita e più bella di prima, consci che il futuro potrebbe non riportare gli antichi splendori o semplicemente un nido dove tornare.

La terza, i bambini di oggi non avranno il tempo di crescere in un ambiente che permetterà loro di diventare parte delle radici di famiglia, sviluppando i rami nuovi e pieni di germogli; sentiranno parlare di cose, di racconti ed avventure che non potranno provare, come camminare nel fiume a piedi nudi o svalicare una montagna con i tuoi amici per dimostrare a te stesso ed ai tuoi che stai diventando grande, fare a gavettoni a ferragosto, cucinare “i marroni” al fuoco d’inverno nella padella bucata perché… il tuo paese non c’è più, non c’è quella casa dove sai di passare le tue vacanze estive di bambino al sicuro da macchine e malintenzionati…

La quarta, a chi come me è oggi genitore e deve spiegare la storia, la tradizione, raccontare e tramandare le cose di famiglia, il terremoto mi ha preso tutto in 142 secondi. Ha preso i ricordi di un bimbo sul sellino della Gilera di papà tra le braccia di nonno, ha preso la foto di carnevale vestito da Cowboy che piaceva tanto a nonno, ha preso la foto del giorno delle nozze di Nonno e del mio Bisnonno, ha preso tre mobili di famiglia di scarso valore economico ma che sono costati lacrime e sangue, il tavolino col cassetto con la chiave, quella che ha solo il capofamiglia, con lo statino delle particelle catastali di fabbricati e terreni, il “tesoro” di famiglia da custodire e tramandare alle generazioni future. Mi ha rubato le mattonelle montate da papà con le lacrime e la storia di quando le ha messe, le rocce tagliate e rubate a bestemmie dalla montagna da mio nonno, i suoi scalpelli, le seghe giganti per fare le tavole, le botti del vino, il boccale di birra in cui mettere il vino e “zitto mi raccomando non dire nulla a nonna”, il suo cappotto pesante, la baionetta per scannare il maiale, il proiettile calibro 9 della sua Mauser “che se ti toccano mi tocca usarlo” e poi l’odore, l’odore dei ricordi che mi penetrava nelle narici, diverso dal vero, l’odore dei ricordi della mia famiglia. In 142 secondi il terremoto mi ha strappato tutto, e sono fortunato e privilegiato di avere ancora qualcuno da cui farmi raccontare le storie di famiglie e qualcuno a cui raccontarle.

Non smuoveranno i sopravvissuti da quelle macerie, non ci sono riuscite 2 guerre e la fame, non riuscirà il mostro; se vogliamo aiutare i sopravvissuti dobbiamo aiutarli a rimanere li, a ricostruire le cose lì dove erano, ancora più belle di prima, fare presto affinchè i vecchi possano tornare a raccontare ai giovani anche di come tanti cavalieri buoni sono accorsi ed hanno ricacciato il mostro nelle viscere della Terra, per raccontare una nuova storia, che il mostro non è morto, ma si è solo rintanato, che devono essere più attenti ed avveduti per continuare la storia di Famiglia, per poter raccontare una nuova storia da aggiungere a quelle delle generazioni precedenti.
Poi c’è il trauma di chiudere gli occhi ed avere il terrore di sentire il letto vibrare, la consapevolezza che tra un po di tempo passerà, ma non sarai più sereno ogni volta che ti addormenterai nel letto della tua casetta di montagna sicuro di dormire come un sasso senza che nessun mostro ti svegli scuotendoti da sotto.

Per quanto riguarda l’attuale capofamiglia della storia, se prima aveva qualche dubbio tra spendere parecchio denaro per continuare a coltivare le tradizioni o vendere mollando tutto perchè bisogna essere pratici in questa vita frenetica, ora sa che deve fare, fosse l’ultima cosa che farà… Sfodererà la spada e combatterà con gli altri cavalieri il mostro per continuare a coltivare la cosa più importante che c’è, la storia, senza la quale non esiste futuro. Non lasciateci soli, altrimenti saremo sconfitti per sempre

Questa storia è la mia storia, quella della mia famiglia, ed è dedicata alle vittime, ai loro parenti, alle generazioni future; è una storia come tante, ne migliore ne peggiore, ma uguale nel dolore, sacrificio e sangue buttato da ognuno degli abitanti di ogni singola casa costruita per assicurare un domani alla prossima generazione. Senza storia non si ha futuro!

Sabatino Schiavoni